Più una colonia è grande meglio è. Considerazioni sulla for mazione dei nuovi nuclei in un’ attività apistica

Torniamo ancora una volta – repetita iuvant – a parlare di tecniche apistiche in stretta correlazione con la biologia dell’alveare. Prima di entrare nel vivo dell’argomento, ci venga consentita una premessa, resasi opportuna dopo diverse (quanto previste) ingiustificate e spesso malevole critiche verso nostri articoli precedenti relativi al regime biologico e/o al blocco di covata. Affrontando questi temi, non abbiamo voluto semplicisticamente “rottamare”  tecniche largamente diffuse (ed accettate quasi ovunque in modo acritico e dogmatico),
ma piuttosto metterne in luce le criticità e soprattutto far osservare come la manipolazione di
una famiglia e dei favi, nonché i condizionamenti artificiali della deposizione, in particolare quando non coincidono con i bio- ritmi naturali delle api (pause, rallentamenti della deposizione per siccità o carestia etc), possono procurare alle colonie dei danni molto profondi e tanto più seri in considerazione del grave carico di patogeni (maggiore o minore a seconda dei casi ma sempre elevatissimo), il quale necessita di una risposta immunitaria che si fonda sull’apporto nutrizionale (specialmente pollinico – proteico). Ma tale apporto nutrizionale,
come vedremo anche in questa occasione, è condizionato dalla presenza di covata (oltreché di bottinatrici), e quindi quando l’apicoltore deliberatamente, per scelte aziendali, decide per un’asportazione di covata o un ingabbiamento della regina, deve rendersi conto che tutto ciò implica una minore importazione di polline (proteine), fondamentale al buon funzionamento del si stema immunitario dell’ape (Cfr. Influence of Pollen Nutrition on Honey Bee Health: Do Pollen Quality and Diversity Matter di Di Pasquale et al. 2013 – Ricerca pubblicata nel gruppo
Facebook Patologia apistica). Volevamo semplicemente sottolineare – ed onestamente ci pareva un’ovvietà – che tutto ciò che noi facciamo in apicoltura deve partire da una conoscenza (che implica autentica professionalità e non dilettantismo) della biologia dell’alveare,  mentre purtroppo nella pratica vi è una noncuranza totale verso tutto ciò. E questo atteggiamento ci pareva e ci pare tanto più grave in coloro che operano in regime biologico e non si rendono conto che il valore di questa “etichetta”, affinché non sia un mero “specchietto per allodole” commerciale, non può basarsi solo sull’utilizzo di p.a. derivati da molecole organiche, ma deve riferirsi in modo molto più profondo alla biologia dell’alveare, alla sua integrità ed integralità biologica e funzionale. Altrimenti, qualcuno dovrebbe spiegare a cosa porta tutto ciò, e che senso ha farsi un vanto di utilizzare molecole organiche (peraltro tossiche per le api anche più di quelle chimiche, si pensi al timolo) e poi associare questi p.a. a pratiche bio-meccaniche di manipolazione della covata e dei favi che sono in contrasto con il ciclo naturale  delle api. In attesa che qualcuno ci risponda su quella che a noi pare, a rigore di logica, una contraddizione, ci proponiamo di esporre alcuni concetti nella medesima direzione già indicata in altri articoli. Una delle pratiche più diffuse, è la produzione di sciami (nuclei) artificiali. Si tratta di una pratica che non interessa, come noto, solo gli allevatori che commerciano in sciami, ma si tratta di qualcosa che anche l’hobbista, o per sopperire alle perdite avuto in inverno o per rimonte interne, mette in atto. Sui manuali di apicoltura, così come nei corsi, vengono presentati diversi metodi, ma queste tecniche vengono quasi ovunque esposte con un’attenzione rivolta quasi esclusivamente agli aspetti meccanici e pratici (spostare questo qua, mettere quest’altro là etc). Raramente questi lavori vengono messi in relazione con la biologia dell’alveare e si parla molto di lavoro dell’apicoltore ma mai di quello delle api, e delle conseguenze che queste pratiche apistiche possono avere sul lavoro di bottinatrici o nutrici. Anche per tali ragioni, si legge di metodi molto differenti, che vanno dal prelievo per arnia di pochi telaini o di uno solo, fino a divisioni e prelievi di metà di una famiglia. Spesso la “gola” dell’apicoltore è orientata al metodo che numericamente – e quindi solo rispetto alle dimensioni dell’apiario per numero di alveari – consente apparentemente di migliorare la propria condizione. Si propenderà nella maggior parte dei casi per il metodo che da 8 famiglie mi porta ad 16 o quasi, e non so quanti preferirebbero quello che da 8 mi porta a 9… Tuttavia,  questo aumento della quantità di numero di famiglie ha una fragilità e criticità qualitativa, che dipende da come e quanto le famiglie sono state divise. Paradossalmente, l’apicoltore pretende di crescere in termini quantitativi moltiplicandolo il numero di famiglie (che vengono intese, in barba a tutto l’amore per le api sbandierato qua e là ad ogni occasione, come mere unità  produttive), ma non tiene conto di un principio importante, dimostrato da diverse ricerche scientifiche, secondo le quali le api fanno meglio tutto quando si trovano in famiglie più popolose. Quindi sarebbe meglio favorire il dato quantitativo (che è in questo caso qualità, resa e capacità funzionali della famiglia) interno ad un alveare, piuttosto che moltiplicare il numero delle famiglie ma ritrovarsi con nuclei caratterizzati da poca covata (ergo bassi livelli di feromone corrispondente e ciò che ne consegue), poche api, assenza o quasi di specifiche sotto – caste, e quindi funzioni ad esse collegate. Nel caso degli insetti eusociali, e quindi anche delle api, diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato come vi sia una relazione tra specifiche funzioni, ad esempio tutto ciò che ha a che fare con il foraggiamento delle colonie, e dimensioni della famiglia, con performances ottimali raggiunte solo in presenza di gruppi numerosi. Nel  caso specifico delle api, i gruppi più numerosi possono raccogliere maggiori informazioni circa le fonti nettarifere disponendo di più api preposte all’individuazione delle aree di bottinamento. Vi è anche una relazione positiva tra le dimensioni della colonia e la capacità di comunicazione attraverso la danza. Poiché esiste una relazione tra la qualità della fonte nutrizionale (nettarifera e/o pollinifera) e le caratteristiche ed il tempo di esecuzione della danza (Seeley & Visscher 1988) il complesso sistema di comunicazione attraverso le danze non solo indica la fonte e le sue qualità, ma consente un confronto tra le diverse informazioni ed un loro continuo aggiornamento che sarà tanto più rapido ed efficace quante più api saranno interessate al ruolo di esploratrici (Seeley 1986; Schmickl & Crailsheim 2004). Potremmo aspettarci che in grandi colonie vi siano maggiori problemi collegati alle difficoltà di coordinamento tra individui, con interferenze e sovrapposizione di informazioni (Pacala et al. 1996) ma in realtà è stato dimostrato che sono proprie le colonie molto popolose a presentare queste richieste capacità di coordinamento, con un volume di informazioni che viene diffuso più ampiamente (Naug 2009). Inoltre, con la crescita della colonia, le api disporranno di informazioni sempre maggiori da poter confrontare ed integrare tra loro, e saranno capaci di rintracciare più velocemente le risorse nutrizionali (Naug & Wenzel 2006) così come di reclutare altri membri della colonia nel reperimento delle informazioni (Johnson & Hubbel 1987). Siamo dunque di fronte ad una competizione virtuosa, che nei gruppi più numerosi implica maggiori e più aggiornate informazioni circa il pascolo, con migliori capacità di bottinamento complessive della famiglia, essendo il lavoro delle esploratrici a vantaggio delle bottinatrici. Beekman et al (2004) hanno dimostrato che le api utilizzano sistemi di comunicazione per selezionare le fonti nutrizionali  migliori e naturalmente famiglie più numerose possiedono delle capacità maggiori di perlustrazione del territorio e di diffusione delle informazioni. Tuttavia, nel caso specifico delle api, è ancora poco studiata la relazione tra le dimensioni della colonia e le capacità di comunicazione/bottinamento. Una ricerca recente di cui qui rendiamo conto, intitolata Bigger is better: honeybee colonies as distributed information – gathering systems di M. Donaldson –  Matasci, G. De Grandi – Hoffman e A. Dornhaus (Ricerca pubblicata su Animal Behaviour  nr. 85, anno 2013) , ha empiricamente valutano i benefici relativi alle dimensioni di una colonia rispetto alle capacità di comunicazione (danza). Ha inoltre voluto  verificare se le dimensioni della famiglia condizionano, come parrebbe logico, il numero di bottinatrici impiegate parallelamente alle esploratrici ed attivate dal lavoro di queste ultime. Inoltre, si è voluto verificare se il numero elevato di esploratrici genera un reclutamento positivo di altri individui per la medesima funzione.  Gli autori della ricerca hanno sperimentalmente dimostrato tutto ciò procedendo ad una manipolazione volta a condizionare  le dimensioni delle famiglie e ad una parallela misurazione del le capacità di bottinamento delle colonie di differenti dimensioni così ottenute. Le conclusioni a cui sono arrivati  dimostrano che non solo le famiglie più numerose hanno una capacità di comunicazione più efficace, ma che inoltre vi sono precise ragioni funzionali che legano il numero di api alle  capacità di bottinamento. E’ risultato, come già in Goulson (2003), che le colonie più numerose riescono a rispondere meglio agli svantaggi determinati da fonti lontane, mentre famiglie più piccole risultano più svantaggiate dalla  distanza, ed inoltre le famiglie più popolose riescono ad avere una migliore raccolta anche in presenza di scarse risorse (vedi anche Beekman et al 2004). Inoltre, il linguaggio della danza risulta più efficace quando è volto a segnalare risorse più lontane (Kirchner & Grasser 1998; Dornhaus 2002). Donaldson – Matasci et al. (2013) hanno infatti dimostrato in questo studio  che vi era una maggiore importazione in colonie più grandi nonostante la distanza con le risorse, ed inoltre è stato osservato che in famiglie più grandi, oltre ad una mole complessiva maggiore, vi è un’importazione maggiore pro capite, con carichi di nettare più alti per ciascuna bottinatrice di famiglie più grandi (vedi anche Eckert et al. 1994). Se ne deduce che le colonie più popolose godono di vantaggi sia rispetto alla rapidità di reperimento di risorse, sia rispetto alle capacità comunicative delle stesse, reclutamento etc, anche in ragione di una maggiore competizione tra individui nella medesima funzione (vedi anche Roubik 1980; Naug & Wenzel 2006). Donaldson – Matasci et al. (2013) hanno ancora dimostrato che le colonie più numerose presentano picchi di importazione già al primo giorno di esposizione di nuove fonti nettarifere, mentre famiglie più piccole reagivano più lentamente. Ciò suggerisce che con danze direzionali più frequenti, le colonie più grandi sono in grado di individuare fonti nettarifere più rapidamente delle piccole colonie. Queste conclusioni presentano numerosi vantaggi pratici  per l’apicoltura, poiché le colonie più grandi possono approfittare efficacemente delle brevi  “finestre” di disponibilità nettarifera e/o pollinifera, condizioni che nelle situazioni climatiche attuali sono sempre più frequenti, con fioriture brevi, limitate da fenomeni meteorologici fuori stagione. Questo potrebbe significare – traduciamo letteralmente le considerazioni degli autori –  “che il valore del sistema di comunicazione fondato sulla danza è massimo quando vi è una variazione rispetto alla disponibilità di risorse di e levata qualità, poiché questo implica una  maggiore capacità di selezione e quindi uno sfruttamento delle fonti migliori dal punto di vista nutrizionale e più redditizie”. Per questa ragione, si può asserire, proseguono gli autori, che “in tali ambienti, le colonie più grandi possano avere perfomances di bottinamento migliori perché le loro dimensioni consentono di scoprire nuove fonti in tempi rapidi ed inoltre la maggiore capacità di comunicare alle consorelle la loro posizione, permette alle bottinatrici di concentrare il proprio lavoro su quelle migliori dal punto di vista nutrizionale”. Un altro vantaggio che le  colonie più popolose possono presentare rispetto a famiglie più piccole, è nella capacità di reclutamento di un massiccio numero di bottinatrici altrimenti inattive nel caso di  comunicazione inefficiente (vedi a tale proposito anche Johnson & Hubbel 1987; Anderson 2001; Heinrich 2004). Tutte queste considerazioni – non nostre, ma dei ricercatori citati e da noi semplicemente esposte per il lettore – non sono di poco conto nella pratica apistica, anzi rivelano precisi vantaggi per le famiglie più popolose, e questo ha una ricaduta positiva sia sulla raccolta del miele in quanto prodotto finalizzato al commercio, sia sul bottinamento a favore della famiglia stessa. Naturalmente, le migliori performances di famiglie più popolose, rendono maggiormente perfomante l’attività di bottinamento di queste famiglie sia a discapito di alveari più piccoli del medesimo apiario, sia rispetto a famiglie di altri apiari limitrofi (spesso  appartenenti ad un altro o altri apicoltori). Con il risultato, che una buona capacità di bottinamento dipende dal numero di api (e quindi dal numero di ciascuna sotto – casta) presenti nell’alveare. Come concludono Donaldson – Matascietal. al termine della propria ricerca,  “abbiamo dimostrato che le api di colonie più grandi sono bottinatrici più efficienti rispetto a quelle di famiglie più piccole, e questo è dovuto alla loro migliore e più rapida capacità di comunicare tramite apposite danze la posizione di una fonte nutrizionale. Le migliori capacità di  bottinamento sembrano essere il risultato di una capacità di individuazione più rapida delle fonti e di una migliore comunicazione delle stesse. Queste osservazioni insieme forniscono  un’evidenza sperimentale (empirica) secondo la quale le grandi dimensioni delle famiglie d’api associate alle migliori capacità di comunicazione delle fonti netterifere/pollinifere, rendono le colonie di insetti eusociali complessivamente più efficienti”. A complemento dello studio fin qui citato, vogliamo menzionare un’altra ricerca intitolata Honey bee (Apis mellifera) workers live longer in small than in large colonies di O. Rueppell et al. (Pubblicata in Experimental   Gerontology 44 (2009). in cui si è voluta verificare la relazione tra le dimensioni della colonia e la durata di vita delle unità costituenti (individui, api).  Anche in questo studio, è stato verificato che le colonie di dimensioni maggiori riescono ad allevare più covata, a costruire più favi e manifestano maggiori capacità di bottinamento. Questo studio dimostra che nei grandi gruppi è migliore e maggiore l’aspettativa di vita collettiva, a dispetto però dell’aspettativa di vita individuale, e ciò risulta piuttosto logico considerando che le risorse proteiche (proteine di stoccaggio) ritenute indispensabili all’allevamento della covata aumentano l’aspettativa di vita della singola ape. Sono proprio le api più giovani, le nutrici, ad utilizzare queste riserve proteiche per sintetizzare, insieme al polline proveniente dal bottinamento, la pappa per le operaie e la regine, esaurendo così in un  dato tempo le scorte proteiche (vitellogenina in primis conservate nei corpi grassi). Tanto più vi sarà covata da allevare, quanto prima vi sarà esaurimento delle proteine di stoccaggio, con relativa maturazione comportamentale (aumento dei livelli di ormone giovanile) e più rapido passaggio all’età di bottinatrice. L’esaurimento più veloce delle risorse individuali, tuttavia, è  a vantaggio della collettività e significa migliori condizioni della colonia nel suo insieme. Come affermato da Rueppel et al. (ricerca citata) , colonie di differenti dimensioni hanno crescite demografiche diverse e la minore longevità individuale viene “barattata” con la maggiore longevità collettiva. Non bisogna scordare a tale  proposito che l’alveare è e si comporta come un super – organismo ed anche sotto questo profilo vi è un’analogia con gli organismi pluricellulari, in cui l’attività metabolica necessita del “sacrificio” delle cellule, del loro esaurimento, per il mantenimento della salute complessiva dell’organismo. Rueppel et al. (2009) hanno sperimentalmente dimostrato che le operaie introdotte in colonie di maggiori dimensioni avevano un’aspettativa di vita individuale minore rispetto a quelle introdotte in colonie più piccole. I ricercatori ipotizzano che questa tendenza abbia anche una precisa ragione riproduttiva, in quanto nelle zone temperate il raggiungimento di determinate dimensioni comporta il successo riproduttivo (Winston, 1987) e queste dimensioni vengono raggiunte con un allevamento maggiore della covata, costruzione dei favi, maggiore bottinamento. I grandi alveari sembrano investire più sulla crescita collettiva a discapito di quella individuale, mentre i piccoli alveari manifestano una tendenza più alla  sopravvivenza individuale che alla crescita, massimizzando l’efficienza energetica e  aumentando l’aspettativa di vita delle singole operaie (Houston et al. 1988). La quantità di covata influisce sul carico di lavoro di nutrici e bottinatrici (Eckert et al. 1994), le quali sottoposte a maggiore lavoro presentano una più rapida maturazione comportamentale. Colonie di elevate dimensioni necessitano di un elevato numero di bottinatrici, le quali come noto sono le api più anziane, quelle in cui i livelli di proteine di stoccaggio (vitellogenina principalmente) si sono ormai quasi esaurite del tutto, e che necessitano dell’apporto delle nutrici per ottenere il proprio fabbisogno nutrizionale . Tutto ciò è in accordo con la  conservazione della specie, per cui gli individui più esposti a maggiori rischi (predatori, incidenti vari, inquinamento ambientale), cioè le bottinatrici nel caso delle api, sono anche  coloro che debbono essere meno fornite di elementi ad elevato contenuto biologico. Questi dati, ci suggeriscono alcune indicazioni sul piano pratico. Un alveare di piccole dimensioni, secondo il comportamento naturale del super- organismo, tenderà a privilegiare l’aspettativa di vita delle singole api in una prospettiva, come abbiamo già detto, di sopravvivenza  individuale,  e non avrà le dimensioni per uno sviluppo di crescita, che significa maggiore importazione ed  aumento della covata. Si percepirà come poco performante e tenderà a non esaurire le proprie risorse, e come del resto abbiamo osservato anche precedentemente con la ricerca di  Donaldson – Matasci et al. (2013) egli è effettivamente meno competitivo e presenta numerose difficoltà nel superare condizioni ambientali sfavorevoli (lontananza di fonti nutrizionali , fioriture brevi etc). Non abbiamo naturalmente voluto scrivere tutto ciò per semplice  esposizione teorica, ma al fine di stabilire una logica differente, sulla base delle recenti  scoperte biologiche, nella formazioni dei nuclei. Abbiamo detto che famiglie di ridotte dimensioni tendono a privilegiare la sopravvivenza individuale a discapito della crescita ed inoltre abbiamo osservato come famiglie più grandi hanno migliori perfomances complessive, aspettativa di vita collettiva più lunga e maggiore e più efficace attività di esploratrici e bottinatrici. Curiosamente, tuttavia, nella pratica apistica sembrerebbe che vi sia la tendenza ad agire in contrasto con tutto ciò, ed effettivamente si assiste alla produzione di nuclei di ridotte o ridottissime dimensioni, che potrebbero incontrare le difficoltà di cui stiamo parlando. Non è raro, specialmente quando non favoriti dalla stagione e dalle fioriture (o gravati da patogeni anche a sintomatici, tipo nosema), assistere al crollo di nuclei su 4 o 5 telaini, ed una delle spiegazioni potrebbe trovarsi nelle ricerche citate, specialmente quando questi nuclei si trovano collocati in apiari composti anche da famiglie più competitive perché di maggiori dimensioni. Le  difficoltà di bottinamento a cui possono andare incontro sono notevoli e talvolta purtroppo  insormontabili. Per quanto una famiglia piccola possa aumentare la longevità individuale ed  evita re la crescita, tuttavia non potrà mai spingersi oltre un certo limite ed andrà fatalmente incontro ad una morte dell’alveare, non essendo favorito il ricambio generazionale. Il ricambio generazionale tra api, per quanto possa essere ritardato (si considerino anche le condizioni invernali, che sono tuttavia normali e contemplate nello sviluppo naturale dell’alveare), deve  comunque avere luogo entro alcune settimane. La crescita pertanto è una condizione  necessaria per la sopravvivenza della specie e della singola famiglia, e d’altra parte un’inefficiente attività di bottinamento comporta carenze nutrizionali gravi anche rispetto alla risposta immunitaria, specialmente per quel che riguarda l’importazione di polline (Di Pasquale et al. 2013). Per questa ragione, in condizioni di campo, le difficoltà di bottinamento e di crescita si traducono in deficit alimentari dannosi per la salute dell’alveare e morte della famiglia. Inoltre, un alveare con poca presenza di covata, sarà povero anche del feromone di  covata, il quale, insieme al feromone mandibolare della regina, garantisce la coesione sociale della colonia e le reazioni ghiandolari delle nutrici, come ad esempio lo sviluppo delle ghiandole ipofaringee impiegate per produrre il cibo per le larve e la regina (pappa reale). Quindi se teoricamente una famiglia piccola , con poca covata e poche bottinatrici, può tentare di  conservare le proprie risorse individuali a scapito della crescita , nella pratica ciò si traduce in  una serie di squilibri funzionali e alimentari. Tali squilibri alimentari possono essere la causa di un indebolimento del sistema immunitario. Al contrario, non solo la crescita, ma una buona crescita, necessitano di famiglie popolose, con abbondante covata (e relativo feromone) e bottinatrici, le quali saranno più capaci di sfruttare le disponibilità del pascolo, ottimizzandone le risorse e usufruendo anche di fonti lontane o disponibili per breve tempo. In termini di pratica apistica, sarebbe dunque consigliabile, specialmente per le rimonte interne, formare sciami (nuclei) di non ridottissime dimensioni, ma di almeno sette (7) telaini, prelevando un solo telaino di covata per famiglia di origine, con un sistema che potremmo chiamare “ad imbuto”. Questo comporta un non eccessivo indebolimento della famiglia di origine, che manterrà ancora buone dimensioni (dando per scontato che se seguiamo questa logica la  famiglia d’origine non potrà essere sottosviluppata o troppo piccola) e allo stesso tempo la  formazione di un nuovo nucleo con una buona presenza di covata, con le ricadute positive che questa comporta. Naturalmente, un certo bilanciamento va considerato anche per quanto  riguarda la presenza delle api e parliamo pertanto non di telaini nudi d’api ma popolati, in modo da garantire al nucleo un’importazione di nettare e polline, nonché un allevamento della covata ed in linea di massima la presenza delle fondamentali sotto – caste.

Luca Tufano

Maggiori informazioni

(http://www.apicolturaonline.it/formazionenuclei.pdf)

Denuncia alveari 2012-13

A.P.A.B. Brescia

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